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AT LOCARNO FILM FESTIVAL: DATED, BUT MASTERPIECES TO SEE AGAIN

Sotto la sua prima apparenza di sceneggiato per spettatori di una cultura che ci è estranea, IL DESTINO nasconde altri tesori. Diciamo altri: perché il fatto di apparire un serial o un musical televisivo, un film d'avventure un po' azzardato, un "peplum" orientaleggiante oleografico, un viaggio iniziatico medioevale che fonde il flamenco arabizzante ai salti mortali di un western, in qualsiasi altro cineasta sarebbe indice di confusione forse anche mentale. Ma di questa figura-faro del cinema arabo, di questo personaggio cosi impegnato in un confronto storico e politico con la propria epoca e la propria società, questa specie di melting-pot espressivo rappresenta al contrario l'aspetto vitale, ed estremamente efficace.

Chahine si è formato al Cairo, ma pure a Hollywood. E, come si è visto nella bellissima retrospettiva che Locarno gli ha dedicato l'anno scorso, ciò non gli è servito esclusivamente a possedere perfettamente le lingue: ma a farsi sofisticato e popolare al tempo stesso, raffinato ed umile, tollerante e militante, visionario e realista. Allora, questo suo 34mo film che narra la vita di Averroè, il filosofo arabo determinante non solo per la cultura araba, ma per le idee dell'Illuminismo giunte fino ad oggi, obbligato ad abbandonare Cordoba poiché avversato dall'integralismo del califfo El Mansour, appare ben presto come qualcosa di assai meno inoffensivo di una ricostruzione storica ad uso di un sabato sera televisivo al Cairo...

Una riflessione, addirittura feroce nella sua trasparenza sul fanatismo, l'intolleranza di ogni tempo: della quale il regista del precedente L'EMIGRANTE, tolto dalla circolazione dopo 9 settimane di programmazione, conosce da tempo ogni segreto...

"Il pensiero ha le ali - dice la didascalia finale del film - e nessuno può arrestarne il volo". Il rinvio al contemporaneo, che sappiamo cosi drammatico ed urgente, di un film nel quale vediamo bruciati i libri, l'invito alla trasmissione del sapere nella gioia e nella tolleranza, l'indignazione nei confronti dell'intromissione della religione nel potere politico, si carica allora nelle bajadere dell'intramontabile vecchio di una forza non solo evocativa, ma moderna ed universale che forza il rispetto, invita alla commozione

L'impareggiabile generosità di Chahine, quel suo modo di legare la cultura mediorientale alla sottocultura hollywoodiana, di aprirsi cosi a molteplici aspetti della spettacolo del nostro secolo, di fondere la danza egiziana alla coreografia del musical, gli intrighi delle casbah alle piroette del western, l'avventura alla Walsh o alla Lang al viaggio iniziatico, conferisce ad un film come IL DESTINO la forza inestimabile del cinema che si definisce popolare. È una forza, autentica e generosa, che impedisce al film di cadere nel qualunquismo del divertissement di genere: che lo fonde, al contrario, continuamente al presente. Rinviando drammaticamente ai problemi nostri: a tutte quelle forme di intolleranza, di sopraffazione che, di certo, non sono molto cambiate sulla faccia della terra dai tempi di Averroé...

Quel potere straordinario e commovente - insostituibile nelle tensioni del mondo attuale - di giungere al cuore ed alla mente di un numero infinto di spettatori, al di là delle razze, delle culture, dei condizionamenti. E che riconduce, per un attimo ancora, il cinema alla sua vera vocazione di arte popolare.

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AT LOCARNO FILM FESTIVAL: DATED, BUT MASTERPIECES TO SEE AGAIN

Beneath its initial appearance as a screenplay for viewers of a culture that is foreign to us, THE DESTINY hides other treasures. We say others: because the fact that it appears to be a television serial or musical, a slightly daring adventure film, an oleographic oriental peplum, a medieval initiation journey that blends the flamenco of the Arabs with the somersaults of a western, would be indicative of confusion, perhaps even mental confusion, in any other filmmaker's mind. But of this figurehead of Arab cinema, of this character so committed to a historical and political confrontation with his own era and society, this sort of expressive melting-pot represents, on the contrary, the vital and extremely effective aspect.

Chahine trained in Cairo, but also in Hollywood. And, as we saw in the wonderful retrospective that Locarno devoted to him last year, this has not only served him to have a perfect command of languages: it has also helped him to become sophisticated and popular at the same time, refined and humble, tolerant and militant, visionary and realist. So his 34th film, which tells the story of the life of Averroes, the Arab philosopher who played a decisive role not only in Arab culture but also in the ideas of the Enlightenment that have come down to us today, and who was forced to leave Cordoba because he was opposed by the fundamentalism of the Caliph El Mansour, soon appears to be something far less inoffensive than a historical reconstruction for a Saturday night TV show in Cairo...

A reflection, even fierce in its transparency, on fanaticism and the intolerance of all times: of which the director of the previous film THE EMIGRANT, taken out of circulation after 9 weeks of programming, has known every secret for some time...

"Thought has wings - says the film's final caption - and no one can stop its flight". The reference to the contemporary, which we know to be so dramatic and urgent, in a film in which we see books burned, the invitation to the transmission of knowledge in joy and tolerance, the indignation against the interference of religion in political power, is then charged in the bajadere of the timeless old man with a force that is not only evocative, but modern and universal, which forces respect, invites emotion

Chahine's incomparable generosity, his way of linking Middle Eastern culture to Hollywood subculture, of opening up to multiple aspects of the spectacle of our century, of merging Egyptian dance with the choreography of the musical, the intrigues of the casbahs with the pirouettes of the western, the adventure of Walsh or Lang's style with the initiatory journey, gives a film like THE DESTINY the inestimable force of cinema that calls itself popular. It is a strength, authentic and generous, that prevents the film from falling into the qualunquism of genre divertissement: on the contrary, it continuously merges it with the present. Dramatically referring to our own problems: to all those forms of intolerance and oppression that certainly haven't changed much on the face of the earth since Averroé's time...

That extraordinary and moving power - irreplaceable in the tensions of today's world - of reaching the hearts and minds of an infinite number of spectators, beyond races, cultures and conditioning. And that brings cinema back, for a moment, to its true vocation as popular art.

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